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Spettacolo

PERCHE’ SONO NATE LE COOPERATIVE DELLO SPETTACOLO: CASE HISTORY, RETE DOC

Articolo Case History: il modello cooperativo della Rete Doc di Verona Argomenti Perché sono nate le cooperative per i lavoratori dello spettacolo? Case History: il modello cooperativo della Rete Doc di Verona Perché sono nate le cooperative per i lavoratori dello spettacolo? Le cooperative formate da soci lavoratori nel campo dello spettacolo, sono nate nella metà degli anni ‘80 con lo scopo di tutelare gli artisti dal punto di vista lavorativo, assicurativo e previdenziale. Sono un’alternativa naturale alle associazioni culturali che perseguono sì lo scopo prefisso, ma nel campo del lavoro artistico i verificatori hanno dimostrato che spesso c’è elusione sia dal punto di vista fiscale che previdenziale. Ed ecco la necessità di costituire le cooperative i cui soci lavoratori sono gli stessi lavoratori dello spettacolo che decidono di far diventare lavoro la loro passione. Un DJ, un fonico, un pianista, una sarta di teatro, una cantante lirica… sono tutti lavoratori del mondo dello spettacolo e operano nei teatri, nei  locali notturni, nelle piazze delle città… Sono un vero e proprio esercito di professionisti del mondo dello show business che vengono definiti lavoratori intermittenti. Non hanno un solo luogo di lavoro, mai lo stesso datore di lavoro, e soprattutto non hanno un salario fisso assicurato.  Dal secondo dopoguerra, con la creazione dell’ENPALS (oggi INPS ex-ENPALS) finalmente abbiamo  l’ente nazionale di previdenza e assistenza per i lavoratori dello spettacolo e finalmente si parla di “tutela dei professionisti dello spettacolo”. Case History: il modello cooperativo della Rete Doc di Verona La Rete Doc di Verona è una delle più accreditate cooperative di lavoratori dello spettacolo in Italia che vanta quasi 35 anni di attività. La prendo in considerazione perché ho avuto modo di conoscerla direttamente e la consiglio a molti artisti e associazioni. Il Presidente Demetrio Chiappa, della Rete Doc, afferma che: “Inquadrando tutti i lavoratori come dipendenti abbiamo scoperto subito che non c’erano solo dei doveri, ma anche diritti. Questo inquadramento particolare dei professionisti in cooperativa consentiva loro di avere fin da subito i diritti e le tutele che hanno tutti i lavoratori dipendenti: assegni familiari, indennità di disoccupazione, malattia, assicurazione su infortuni, maternità e ferie. diritto alla sicurezza alla formazione e crescita professionale Ma l’aspetto cooperativistico offre un’assistenza in più: essendo soci lavoratori dipendenti della cooperativa, ognuno è titolare della propria attività, della propria impresa”. Un aspetto, questo, fondamentale per descrivere un nuovo concetto di questo percorso, quello delle cooperative di autogestione. Prosegue il Presidente Chiappa: “quando gli artisti entrano in cooperativa diventano soci lavoratori e insieme decidono come organizzare l’impresa. Mantengono un certo livello di autonomia nella gestione della propria attività e al contempo ottengono i diritti dei lavoratori dipendenti”. Questo modello cooperativo unisce due elementi fondamentali: la continuità di un rapporto di lavoro e il rispetto della professione artistica. Nel tempo ci si è anche resi conto che molte figure lavorative che girano attorno allo spettacolo si potevano avvicinare a questo modello di lavoro cooperativo ed è stato facile inquadrare anche i tecnici, gli insegnanti, i comunicatori, i fotografi e tutte quelle figure che sono abituate a lavorare con un alto livello di autonomia intorno agli artisti, ma oggi anche in ogni altro settore del mondo culturale e creativo. Nel tempo la platea dei lavoratori che possono fruire del modello cooperativo si è ampliata e oggi include anche gli informatici, i grafici, i webmaster, i designer gli artigiani, i giornalisti e tutti i professionisti creativi dei nuovi lavori, che non hanno una cassa previdenziale di appartenenza. La Rete Doc nel tempo si è ampliata con la nascita di nuove cooperative che hanno deciso di mettersi in rete, ognuna specializzata in un settore specifico. Oggi Doc Servizi è la più grande cooperativa di spettacolo in Italia e fa parte della Rete Doc, un gruppo di 8 società di cui 5 cooperative che coprono tutta la filiera della creatività della cultura e della tecnologia, con oltre 8000 soci provenienti da 33 filiali in Italia. Il modello Doc per gli artisti, i primi lavoratori discontinui, è stato allargato alle altre figure discontinue che via via negli anni sono arrivate.  Le varie professioni che si stanno affacciando al panorama lavorativo attuale, fanno emergere due elementi comuni: la discontinuità e la precarietà, indipendentemente dall’elevata qualifica professionale. Il riferimento è verso tutti i professionisti del mondo del digitale piuttosto che dell’industria culturale e creativa, ma sono da considerare anche gli insegnanti di scuole di teatro, musica, danza, scenografi, sarte di teatro, consulenti di varie discipline…, tutte figure professionali che attraverso il modello cooperativo e la rete di cooperative, hanno trovato una loro identità professionale.  Nel tempo, nella Rete Doc si è sentita l’esigenza di aprire uno studio di registrazione, di post-produzione, un’etichetta discografica, una casa di produzione cinematografica, un’agenzia viaggi per agevolare la mobilità, uno studio contabile e fiscale, una struttura per la formazione, un’area bandi e un ufficio di comunicazione. Tutti servizi a disposizione dei soci della cooperativa per svolgere in maniera completa e professionale la propria attività. Autore Carmen Fantasiacommercialista, formatrice e autrice di manuali pratici NON LASCIARE CHE LA BUROCRAZIA BLOCCHI IL TUO TALENTO ARTISTICO Con la consulenza personalizzata troveremo insieme il modo più semplice e sostenibile per permetterti di lavorare, in piena regola e con più sicurezza. Prenota ora la tua consulenza

Terzo settore

COS’E’ IL TERZO SETTORE? PIU’ DI UNA DEFINIZIONE, UN’EVOLUZIONE DELL’ANIMA SOCIALE

Articolo Cos’e’ il terzo settore? Piu’ di una definizione, un’evoluzione dell’anima sociale Argomenti Definizione di terzo settore Storia e origini del Terzo Settore Riferimenti legislativi in Italia Riforma del Terzo Settore Le funzioni sociali del Terzo Settore Il ruolo del Terzo Settore nella società Sfide e opportunità del Terzo Settore Definizione di terzo settore Il Terzo Settore rappresenta un elemento fondamentale nel panorama sociale, economico e culturale di un paese. Esso include organizzazioni e iniziative che operano per il bene comune, senza scopo di lucro e spesso con finalità di carattere sociale, artistico, culturale o ambientale. Ma cosa si intende esattamente per Terzo Settore? Perché è nato e quali sono i suoi riferimenti legislativi? Questo articolo si propone di esplorare queste domande in modo dettagliato. Il Terzo Settore può essere definito come un’attività che si colloca tra il settore pubblico e quello privato. E’ composto da enti senza scopo di lucro, come associazioni, fondazioni, cooperative sociali e organizzazioni non governative (ONG). Queste organizzazioni operano principalmente con l’obiettivo di promuovere il benessere sociale e migliorare la qualità della vita delle persone, contribuendo così alla coesione sociale e alla solidarietà. Storia e origini del terzo settore Il concetto di Terzo Settore inizia a prendere forma negli anni ’70, quando ci si rende conto che esistono molte forme di organizzazione sociale che sfuggono alla categorizzazione in pubblico e privato. Si voleva creare uno spazio in cui le persone potessero collaborare per rispondere ai bisogni della comunità senza perseguire un profitto economico. Il Terzo Settore ha visto una crescente importanza nel mondo occidentale, soprattutto dopo la crisi economica degli anni ’70 e ’80, che ha reso evidente l’incapacità di alcune istituzioni pubbliche di rispondere in modo efficace a tutte le esigenze sociali. In questo contesto, le organizzazioni del Terzo Settore hanno iniziato a assumere un ruolo sempre più rilevante nell’offrire servizi sociali e nel promuovere iniziative comunitarie. Riferimenti legislativi in Italia In Italia, il Terzo Settore è regolato da una due leggi che ne definiscono le caratteristiche e il funzionamento: ●    Legge 266/1991: nota anche come Legge quadro sul volontariato. Questa legge ha fornito un riconoscimento formale alle associazioni di volontariato, promuovendo e sostenendo le attività di solidarietà. ●    Codice del Terzo Settore (Decreto Legislativo 117/2017): questa legge ha ridefinito il quadro normativo, fornendo una struttura più chiara per le associazioni, le fondazioni e le cooperative sociali. Il codice si propone una serie di principi fondamentali: 1.  Riconoscere e promuovere l’autonomia e la partecipazione simbolica dei cittadini. 2.  Favorire la creazione di reti tra le diverse organizzazioni. 3.  Stabilire requisiti di trasparenza e responsabilità.   Riforma del Terzo Settore La riforma del Terzo Settore si inserisce in un contesto più ampio di rinnovamento delle politiche sociali in Italia e ha come obiettivo principale quello di semplificare e rendere più efficiente il funzionamento delle organizzazioni senza scopo di lucro. Sono state introdotte misure fiscali favorevoli, agevolando la raccolta di fondi e il sostegno alle attività delle organizzazioni. Le principali caratteristiche del Terzo Settore le possiamo così individuare: ●   assenza di scopo di lucro: uno degli aspetti distintivi del Terzo Settore è l’assenza di scopo di lucro. Le organizzazioni operano per soddisfare bisogni collettivi e non per generare profitto personale. Eventuali surplus economici vengono reinvestiti nell’attività, contribuendo così al raggiungimento delle finalità sociali dichiarate; ●   partecipazione e inclusione: le organizzazioni del Terzo Settore sono fondamentalmente basate sulla partecipazione dei volontari e dei soci. Questi ultimi non sono considerati meri destinatari dei servizi, ma attori attivi nella progettazione e nella gestione delle attività. Questo approccio favorisce l’inclusione sociale e la coesione comunitaria; ●   innovazione sociale: il Terzo Settore è spesso un terreno fertile per l’innovazione sociale. Molte iniziative che nascono all’interno di queste organizzazioni propongono soluzioni creative a problemi complessi, sfruttando approcci nuovi e alternativi a quelli delle istituzioni pubbliche e private. Le funzioni sociali del Terzo Settore Il Terzo Settore per quanto possa sembrare un mondo complesso ha invece la funzione di facilitatore nel raggiungimento di scopi istituzionali fondamentali: ●   servizi sociali e assistenziali: uno dei compiti principali del Terzo Settore è quello di fornire servizi sociali e assistenziali, attivandosi in settori come la sanità, l’educazione, l’inclusione lavorativa e la tutela dei diritti. Le organizzazioni operano solitamente in collaborazione con le amministrazioni locali e altri attori del sistema sociale; ●   promozione della cultura e dell’arte: molti enti del Terzo Settore si dedicano alla promozione della cultura e dell’arte, organizzando eventi, laboratori, corsi e manifestazioni che hanno come obiettivo la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale locale; ●   advocacy e difesa dei diritti: il Terzo Settore svolge anche un’importante funzione di advocacy, difendendo i diritti delle persone più vulnerabili e rappresentando gli interessi di gruppi sociali marginalizzati. Attraverso campagne di sensibilizzazione e attività di lobby, questi enti cercano di influenzare le politiche pubbliche e di porre all’attenzione dell’opinione pubblica temi sociali rilevanti. Il ruolo del Terzo Settore nella società il collettivo sociale sta beneficiando tantissimo del modello di riorganizzazione dei gruppi che si sono formati per il raggiungimento di scopi non di lucro, sintetizziamoli: ●   coesione sociale e inclusione: in un contesto di crescente disuguaglianza e divisioni sociali, il Terzo Settore si propone come un motore di coesione sociale, favorisce l’integrazione di persone provenienti da diverse realtà, promuovendo la solidarietà e la cooperazione; ●  sviluppo economico sostenibile: il Terzo Settore contribuisce allo sviluppo economico in modo innovativo e sostenibile. Attraverso la creazione di posti di lavoro e l’offerta di servizi, le varie organizzazioni  partecipano attivamente all’economia locale, spesso in settori che tendono a essere trascurati dalle imprese tradizionali. Tutto questo porta a un miglioramento del benessere economico delle realtà a chilometro 0; ●   formazione e sensibilizzazione: le organizzazioni che operano nel Terzo Settore sono anche attive nella formazione e nella sensibilizzazione delle comunità riguardo a temi sociali, ambientali e culturali. Offrono corsi di formazione e attività di sensibilizzazione, contribuendo a creare una società più consapevole delle proprie responsabilità e diritti. Sfide e opportunità del Terzo Settore Il Terzo Settore ha appena cominciato ad avere i primi risultati, ma ci si rende conto che il grande lavoro deve ancora essere accolto e percepito. Dietro a tutta questa struttura di riorganizzazione del mondo del no profit, ci sono

Terzo settore

I MEMBRI DEL DIRETTIVO DI UNA APS DEL TERZO SETTORE POSSONO ESSERE RETRIBUITI?

Articolo I membri del direttivo di una aps del terzo settore possono essere retribuiti? Argomenti I membri di una APS del terzo settore possono essere retribuiti? Approfondiamo Cosa prevede la legge I volontari I membri di una APS del terzo settore posono essere retribuiti? Mi chiedono spesso se il Presidente di un’associazione, o un membro del consiglio dorettivo, possano lavorare e percepire un compenso della stessa associazione che gestiscono e di cui fanno parte. Su questo tema purtroppo c’è molta confusione e molti professionisti (specialmente i commercialisti), negano questa possibilità. Sciogliamo subito il dubbio: è assolutamente possibile per un Presidente, o amministratore di un ente no profit, percepire una remunerazione per l’attività svolta.  Questo vale per: –         le normali associazioni (culturaliricreative), –         per le associazioni di promozione sociale, –         per le associazioni sportive, –         e per le onlus. ATTENZIONE! Non è prevista questa possibilità per le ODV ossia le Organizzazioni Di Volontariato. La legislazione sugli enti no profit vieta la distribuzione di utili tra i soci, ma non vieta il versamento di corrispettivi proporzionati all’attività svolta dal socio a favore dell’associazione. Questo è indirettamente ammesso dalla legge, –     sia all’articolo 10, comma 6, del Dlgs 460/1997 che regola le onlus, –     sia dalla riforma del Terzo Settore, che all’articolo 8, comma 3, considera indiretta distribuzione di utili, e quindi vietata, “la corresponsione ad amministratori, sindaci e a chiunque rivesta cariche sociali, di compensi individuali non proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze o comunque superiori a quelli previsti in enti che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni; la corresponsione a lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del quaranta per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”. Tale articolo di legge, fissa quindi i parametri per una corretta e, soprattutto, adeguata corresponsione dei compensi nell’ambito dell’attività associativa. Approfondiamo È dunque possibile per un componente del Consiglio Direttivo di una associazione, svolgere attività retribuite come all’interno della stessa associazione. Questo vale per la generalità degli ETS (Enti del Terzo Settore) e, in particolare, per le APS (Associazioni di Promozione Sociale). Cosa prevede la legge? La legge ammette che, a fianco dei volontari, vi siano operatori retribuiti con lo scopo di migliorare il lavoro e l’efficienza delle associazioni, a tutto vantaggio degli interessi della collettività degli associati, entro determinati limiti. L’art. 36 del D.Lgs. n. 117/2017, riferendosi alle APS, consente infatti che  le stesse possano “assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura, anche dei propri associati, fatto comunque salvo quanto disposto dall’articolo 17, comma 5 (“la qualità del volontario), solo quando ciò sia necessario ai fini dello svolgimento dell’attività di interesse generale e al perseguimento delle finalità”.  Limite imposto: –         il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non può essere superiore al 50% del numero dei volontari o al 5% del numero degli associati.   Per cui, salvo il divieto di compatibilità “con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria” (co. 5 art. 17 del D.lgs. n. 117/2017), negli ETS e nelle APS, l’amministratore (componente del Consiglio Direttivo o dell’Organo di amministrazione) associato o terzo, può essere retribuito, anche ricorrendo a prestazioni di collaborazione occasionale o coordinata e continuativa, nel rispetto, per le sole APS, dei limiti di cui all’art. 36 del Codice del Terzo Settore. Dalla lettura dell’art. 36 del D.lgs. 117/2017 è facile capire come effettivamente l’erogazione del compenso a membri del consiglio direttivo sia possibile all’interno di una APS, a patto che: l’attività da essi svolta sia funzionalealla realizzazione dell’obiettivo principale dell’associazione stessa e quindi allo svolgimento dell’attività istituzionale; il numerodei lavoratori non deve superare il 50% dei volontari e il 5% degli associati; i lavoratori possono essere persone esterneo anche propri associati; la figura del volontarionon è mai compatibile con quella del lavoratore.     I volontari In base anche a quanto scritto nell’art. 17 comma 5 del D.lgs 117/2017 “la qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria”. Per cui confermiamo che il compenso dei componenti del direttivo è ammesso, ma deve essere proporzionato ad alcuni parametri. A conferma di ciò, qualche anno fa, con un documento ufficiale, l’Agenzia delle Entrate ha specificato, in una risposta che funge da nulla osta, ai membri del consiglio direttivo di un’associazione no profit di ricevere compensi annui per l’attività prestata. Continuando, l’Agenzia delle Entrate afferma che questi compensi devono basarsi su un calcolo relativo alla sommatoria dei componenti positivi di reddito lordo e delle entrate delle attività svolte.  Facciamo un’ipotesi di compenso in base a dei calcoli di comodo: –        se il compenso del componente del direttivo è pari a 8.000€ annui lordi, –        il compenso del Presidente può essere aumentato fino al 50% rispetto al compenso dei componenti del direttivo. In astratto, un Presidente potrebbe arrivare a percepire un massimo di circa 12.000€ annui lordi. Nel caso di specie, il Presidente se ricevesse una cifra maggiore rispetto al massimo ricavato (sommatoria dei componenti positivi di reddito lordo e delle entrate delle attività svolte), potrebbe essere contestata una responsabilità sociale.  Autore Carmen Fantasiacommercialista, formatrice e autrice di manuali pratici NON LASCIARE CHE LA BUROCRAZIA BLOCCHI IL TUO TALENTO ARTISTICO Con la consulenza personalizzata troveremo insieme il modo più semplice e sostenibile per permetterti di lavorare, in piena regola e con più sicurezza. Prenota ora la tua consulenza

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